Un articolo di carattere ampiamente divulgativo, tratto da un lungo colloquio con Emanuele Pellizzari, svoltosi a più riprese, per telefono, via mail e via chat. Nella prima parte una ricapitolazione delle questioni affrontate, fatta con parole nostre. Alla fine, qualche domanda su questioni spinose, per le quali riportiamo l'esatta risposta dell'intervistato (che ringraziamo per tutto il supporto).
Carmela Malomo
Un criterio per decidere se l’acciaio A4 può essere usato per chiodare una via in ambiente marino.
Il criterio di decisione è stato ottenuto per inferenza. In altre parole è stato ottenuto sulla base dei risultati di un piano di test, progettato in modo da ricoprire tutta la casistica ad oggi immaginabile.
L’idea che è stata alla base di questo piano di esperimenti è la seguente: andare a cercare un legame costante tra una circostanza ambientale specifica, la composizione degli ancoraggi e il fenomeno di pitting.
La ricerca non si è concentrata solo sugli ancoraggi, ma ha cercato di considerare tutto l’ambiente in cui gli ancoraggi erano inseriti: per ogni ancoraggio ha studiato le caratteristiche chimico/fisiche dell’intero sistema in cui gli ancoraggi erano inseriti (cercando di individuare anche correlazioni con la ventosità, il tipo di vegetazione etc…).
Le prove svolte
Specificamente, sono stati esaminati chiodi provenienti da pareti rocciose il più possibile diverse tra loro, per morfologia, caratteristiche dell’ambiente circostante e composizione. E per ogni chiodo (sia i chiodi affetti dal fenomeno di pitting che quelli non affetti) è stata esaminata
- La composizione della lega metallica delle protezioni
- La composizione dei depositi presenti sulle protezioni stesse (provenienti dalla roccia nella quale erano infisse)
- La composizione della roccia nella quale erano infisse le protezioni
- La morfologia dell’ambiente circostante, sulla base di foto panoramiche e descrizioni scritte.
Le deduzioni
I risultati di tutte queste prove hanno evidenziato delle circostanze comuni a tutte le protezioni affette dal fenomeno di pitting:
- La lega di acciaio di cui erano composti gli ancoraggi rotti era per TUTTI classificabile come A2 (o AISI 304). Le analisi chimiche sugli ancoraggi rotti che nominalmente erano di acciaio A4 ( o AISI 316L) (più costoso e più resistente alla corrosione dell’A2) hanno rivelato una percentuale di molibdeno (l’elemento la cui presenza distingue la lega A2 dalla lega A4, e al quale si deve la migliore resistenza alla corrosione) troppo al di sotto del necessario 2.5-3%. In altre parole si trattava di ancoraggi che erano solo nominalmente di acciaio A4, ma di fatto, per composizione chimica non potevano essere classificati come A4, ma come A2. Questa grave circostanza è dovuta a un problema di scarso controllo della filiera di produzione dell’acciaio.
- La presenza di tracce di Solfati (sali in cui lo zolfo è legato a 4 atomi di ossigeno) su tutti gli ancoraggi di acciaio inossidabile di tipo A2 affetti dal fenomeno di pitting.
Perciò la commissione UIAA da una parte ha assolutamente vietato l’uso di acciaio A2 in ambiente marino (e in generale in ambiente aperto), e dall’altra ha raccomandato un test che va "a caccia di solfati" all'interno della parete [n. d. r. Ove fosse necessario ribadirlo, anche l’uso del ferro zincato è vietato in ambiente aperto, cfr UNI EN959].

sul dado del fix A4.
Sui dadi dei fix in A2, invece,
c'è scritto A2-70
dal web
Differenza tra A2 e A4
Dato che questo articolo è divulgativo, e si rivolge anche agli scalatori, o agli operatori del settore, prima di cominciare a parlare dei solfati occorre rimarcare che non esiste un solo tipo di acciaio inox. Ne esistono parecchi tipi, che differiscono tra loro sia per la struttura cristallina che per la composizione della lega. In particolare, l’acciaio A2 (o AISI 304) e l’acciaio A4 ( o AISI 316L) hanno la stessa struttura cristallina, ma sono composti da leghe leggermente diverse, e alla diversità della lega corrisponde una diversità di costo e di prestazioni. Semplificando al massimo, e con parole nostre, potremmo dire che l’A4 è un A2 “corretto” con un 3% di molibdeno, per ottenere una migliore resistenza alla corrosione. Per andare più a fondo, abbiamo chiesto ad Emanuele Pellizzari quali sono le differenze di composizione tra le due leghe, e se è possibile distinguerle ad occhio nudo. Pellizzari ci ha risposto: “Purtroppo è praticamente impossibile distinguere visivamente l’acciaio A2 dall’acciaio A4. Sono entrambi di tipo austenitico, e non presentano differenze di colore o di lucentezza. La differenza tra i due sta nella composizione e, conseguentemente, nelle prestazioni. Infatti mentre nell’A2 sono presenti cromo al 18% e nichel all’ 8% nell’A4 abbiamo le stesse percentuali di cromo e nichel (18 e 12 %, rispettivamente) ma, in più, il 3% di molibdeno. La presenza di molibdeno rende l’A4 più costoso, ma anche più resistente alla corrosione. Come già detto, è impossibile distinguere a occhio nudo una lega dall’altra. L’unico modo che lo scalatore ha per distinguerli consiste nel leggere la marcatura, che nei fix sta scritta sui dadi. Specificamente: sui dadi A2 c’è scritto A2/70, mentre sui dadi A4 c’è scritto A4/80. A questo proposito ritengo che sia importante raccomandare ai chiodatori di apporre i dadi in modo da rendere queste scritte visibili agli scalatori, mettendoli così in condizioni di scegliere se salire una via oppure no.”
Ciò detto, vediamo quale criterio decisionale emerge da questi risultati.
Il criterio decisionale emerso
Come già detto, gli studi sulla corrosione fatto dal team dell'UIAA hanno evidenziato la presenza di tracce di Solfati (sali in cui lo zolfo è legato a 4 atomi di ossigeno) su tutti gli ancoraggi di acciaio inossidabile di tipo A2 affetti dal fenomeno di pitting. Il test raccomandato dalla commissione, perciò, va "a caccia di solfati" all'interno della parete. La commissione UIAA prescrive, a questo riguardo, che
Carmela Malomo
- Si vieta di usare l’acciaio A2 in ambiente marino, e non. E’ chiaramente nominato come da non usare sulla normativa (tout court)
- Nelle pareti in cui emerge una presenza di solfati superiore a una certa soglia prefissata, anche solo in alcuni punti, non si usi acciaio inossidabile (nemmeno l’A4), né altri tipi di acciaio inossidabile come l’HCR (o PLX) ma si usino esclusivamente protezioni al titanio. PLX è un marchio commerciale che indica un Duplex di origine Far East [Estremo Oriente, cioè India e Cina, n.d.r.] che ha evidenziato molti problemi. Si noti che la commissione adotta un approccio conservativo, come è giusto che sia in questioni di sicurezza. Perciò, anche se non è stato riscontrato nessun caso di pitting sull’acciaio inossidabile di qualità superiore all’A2, si vieta anche l’uso dell’A4 nelle pareti sulle quali si rilevano tracce significative di solfati. Non perchè dai test sia emerso che l’A4 è soggetto al pitting, ma perchè dai test è emerso che per problemi di controllo della filiera di produzione dell’acciaio, esiste una probabilità non nulla che i produttori di ancoraggi usino acciaio A4 con un titolo di molibdeno troppo basso per garantire buone prestazioni contro la corrosione. Stesso discorso per altri tipi di acciaio inossidabile, come l’HCR.
- Per le pareti in cui non emerge una presenza di solfati superiore ad una certa soglia prefissata, invece, si può usare l’A4, o l’HCR, ma con grande attenzione e vigilanza. Infatti, per motivi di ordine pratico ed economico, il test non può essere fatto a tappeto su un’intera parete. Lo si esegue su punti prescelti, in base a criteri dei quali parleremo più avanti. Perciò, a rigore di logica, è impossibile escludere a priori la presenza di un filone di solfato in una zona non esaminata. Questa possibilità può essere resa molto piccola con un campionamento accorto, ma non si potrà mai rendere nulla. Si raccomanda pertanto, da una parte di prendere i campioni nelle zone in cui la rottura di un ancoraggio potrebbe causare incidenti gravi, e dall’altra di vigilare sullo stato di tutti gli ancoraggi e in particolare di quelli nei punti più critici. Inoltre si raccomanda ai chiodatori di tenere sempre traccia della partita di chiodi usata su ogni via (gli ancoraggi hanno sulla scatole dei numeri di serie), allo scopo di segnalare eventuali problemi dovuti a una partita con un basso titolo di molibdeno. E di cercare di apporre i dadi in modo da rendere visibile agli scalatori il numero che identifica il tipo di acciaio inox usato (che è, lo ripetiamo, A2/70 per l’A2 e A4/80 per l’A4). L'ultima (ma non in ordine di importanza) raccomandazione ai chiodatori è la seguente: al momento dell’acquisto delle protezioni chiedere sempre al fornitore garanzie sulla qualità della filiera di produzione.
Chi deve usare questo criterio
I soggetti che devono eseguire questi test (o commissionare la loro esecuzione) e usare questo criterio sono
- I chiodatori di falesie in ambiente marino
- Gli enti locali che commissionano la chiodatura di falesie in ambiente marino
- I certificatori di falesie in ambiente marino
A tutti questi soggetti interessati consigliamo anche di leggere l’articolo successivo, scritto da Daniele Arena, in cui si mostra un esempio di esecuzione del test e si parla dei criteri di scelta dei punti di campionamento.
Agli scalatori che amano le falesie sul mare, invece, raccomandiamo prima di tutto di dare una occhiata agli ancoraggi: la sicurezza non è mai scontata e siamo tutti tenuti a controllare su che cosa ci appendiamo. Raccomandiamo perciò di cercare di leggere se gli ancoraggi sono in A2 o in A4 o HCR, o al titanio (e di regolarsi di conseguenza). E, per finire, visto che i test costano tempo e denaro, le protezioni in A4 costano, e quelle in titanio ancora di più, cercare di mettersi una mano sulla coscienza e dare supporto economico ai chiodatori, affinché possano eseguire il maggior numero possibile di test, e comprare il maggior numero possibile di ancoraggi adeguati, mettendone magari qualcuno in più, in modo da far stare tutti più tranquilli.
Chi deve eseguire materialmente il test
Il test si esegue in due fasi. La prima è il prelievo dei campioni e la seconda consiste nelle analisi per evidenziare la presenza di solfati. Entrambe le fasi non possono essere eseguite da persone qualsiasi.
- Il prelievo dei campioni deve essere seguito da un chiodatore esperto, che sappia riconoscere i punti in cui la rottura di un fix potrebbe causare un incidente, e suddividere correttamente una parete in aree di roccia con caratteristiche omogenee [segmentarla, per usare un termine tecnico].
- Le analisi chimiche sui campioni devono essere seguite da persone che hanno ricevuto una adeguata formazione, oppure da professionisti della chimica.
Come ci si deve comportare in alcune situazioni pratiche.
Ecco le testuali risposte di Emanuele Pellizzari alle nostre domande
D.: Consideriamo una parete già chiodata con A4 o PLX. Cosa succede se si scopre che in base a questo criterio per questa parete bisognava usare chiodi al titanio?
Nella enorme maggioranza dei casi il PLX ha già evidenziato problemi, tanto da portare anche a dei richiami. Il PLX si è dimostrato molto peggio del A2/304: va cambiato, e rapidamente. Se invece c’è del A4/316, io monitorerei la parete, e solo in casi di rottura di ancoraggi, procederei alla chiodatura.
D.: D.: Un chiodatore legge questa intervista e decide di fare il test su una parete di roccia. Quali strumenti ha a disposizione?
I test non possono essere fatti da tutti, perché serve un laboratorio. I costi ci sono. Tante volte prima di fare il test, basta un controllo empirico della parete: ruggine, roccia gialla, recinzioni vicine arrugginite. Poi, se si reputa importante, basta contattare l’UIAA che in base alla mole di lavoro, spedisce i kit per i test.
D.: Che difficoltà potrebbe trovare una persona che non ha particolari conoscenze nel campo della chimica?
Nessuna. Si tratta di una normale pulizia (tamponatura) della roccia.
D.: Si prevede l’uscita di una qualche facilitazione del processo di test, che lo renda praticabile da chiunque, più o meno come un test di gravidanza, o un test rapido per la diagnostica del Covid?
No. Il problema interessa tutti, ma alla fine, pochissimi sono realmente in grado di capire bene cosa fare, come farlo e perché, con tutte le problematiche connesse.
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