Salta al contenuto principale

Falesie chiuse

Con la chiusura in questi giorni  della storica “falesia” di Ciampino a Roma sulla via Appia a due passi dall’aeroporto, frequentata da oltre trent’ anni dai free climbers romani, si chiude un quadro preoccupante che ha già visto sbarrare molti siti d’arrampicata in Sicilia, in Veneto, nel Lazio, in Calabria, in Liguria.

Data la situazione e per capire meglio il fenomeno, abbiamo deciso di mappare a livello  nazionale le situazioni critiche in termini di fruibilità delle falesie.

Falesie chiuse - Ciampino
Nello sfondo: Ciampino anni fa
A sinistra: La palizzata di recinzione, oggi
A destra: il cartello "Proprietà privata", oggi
Sfondo e foto di destra: Mauro Trechiodi; Foto di sinistra: Fabio Rugghia

Non ci sono soltanto gli impianti sciistici a vivacizzare il dibattito pubblico  sulla fruibilità della montagna, ma anche quelli strutturalmente  più soft  e meno impattanti delle “falesie” collinari, delle scogliere e dei costoni sparsi su tutto il territorio italiano, frequentati dagli appassionati dell’arrampicata sportiva, che con la chiusura da oltre un anno delle palestre, hanno trovato in questi luoghi l’ambiente ideale per praticare in libertà e sicurezza il  loro sport.

Sport che annovera ormai centinaia di migliaia di praticanti in Italia e milioni in tutto il mondo, che verrà consacrato ufficialmente quest’anno a Tokio come disciplina olimpica. Aspiriamo a salire sul podio e forse ci riusciremo per merito di ragazzi e ragazze che in silenzio hanno conquistando le “vette” della disciplina, allenandosi proprio sulle rocce sparse sul nostro territorio, producendo  un miracolo che è stato possibile solo dal sacrificio personale di centinaia di atleti, chiodatori, guide e istruttori.

Che però sembra non piacere a molti, che siano i proprietari dei terreni (quasi sempre abbandonati) dove insistono le falesie, o i politici che amministrano le zone d’arrampicata.

Con la chiusura in questi giorni  della storica “falesia” di Ciampino a Roma sulla via Appia a due passi dall’aeroporto, frequentata da oltre trent’anni dai free climbers romani, si chiude un quadro preoccupante che ha già visto sbarrare molti siti d’arrampicata in Sicilia, in Veneto, nel Lazio, in Calabria, in Liguria. Torna in auge l’interesse privatistico del latifondo a scapito dell’interesse sociale generale e questo, permettetemi di dirlo, oltre che ingiusto, lo trovo anacronistico e da sanare velocemente.

Data la situazione e per capire meglio il fenomeno, abbiamo deciso di mappare a livello  nazionale le situazioni critiche in termini di fruibilità delle falesie e quindi chiediamo agli sportivi e agli arrampicatori di volerle gentilmente  comunicare all’email: daidalea.edizioni@gmail.com.

Commenti

Aaron golinucci (non verificato)

Come arrampicatore sportivo, l'argomento mi sta particolarmente a cuore, e credo che per risolvere il problema sarebbe necessario innanzitutto andare a ricercare la radice e l'origine di questo fenomeno.
Secondo il mio modo di vedere le cose c'è un'incompatibilità di fondo tra l'arrampicata e la società civile modernamente intesa.
Attenzione: ciò non significa che gli arrampicatori siano dei selvaggi che non conoscono le norme basilari della convivenza civile, significa che stiamo assistendo ad un conflitto tra due mondi che sono regolati da una serie di norme completamente diverse.
Credo che chiunque abbia un po' di cultura storico-arrampicatoria conosca non solo la genesi di qiesto sport ma anche il suo sviluppo, che trova i suoi fondamenti su tutta una serie di consuetudini ed assunzioni di responsabilità personali riguardo le azioni intraprese che vanno del tutto contro qualunque forma di possibile regolamentazione. Questo probabilmente deriva dall'aspetto peculiare della pratica arrampicatoria, che è strettamente connesso e regolato dalle condizioni imposte dall'ambiente che sono del tutto variabili ed alcune volte imprevedibili.
Senza contare che, a mio parere fortunatamente, è una disciplina che poggia le proprie basi su un verio e proprio movimento contro culturale (si veda la storia di camp 4) legato all'avventura ed al superamento di limiti considerati invalicabili.
Altro aspetto assolutamente importante è la natura della genesi dei siti dei quali fruiamo, che è dovuta al lavoro volontario e spontaneo di persone che esprimono la loro creatività (di questo si tratta quando si parla di realizzazione di una linea) e lasciano un qualcosa al servizio della comunità. Qualcosa creato da loro, e che può essere fruito da tutti previa valutazione del singolo riguardo il livello di sicurezza.
Questo coacervo di fattori si è evoluto per un certo periodo di tempo in una corrente sommersa della quale pochi erano a conoscenza e che non interessava sostanzialmente a nessuno in quanto scarsamente diffusa e sicuramente anche economicamente irrilevante, e che per suoi caratteri "genetici" ha sviluppato dei tratti che confliggono fortemente con ciò che siamo abituati avivere tutti i giorni cioè un mondo ossessionato dalla sicurezza normativa che chiede a qualunque cosa di essere regolata fin nel dettaglio.
Non a caso il discorso olimpiadi, del quale si può essere contenti come no, viene svolto in palestra e non sulla roccia.
Perché l'arrampicata, quella della quale stiamo parlando ora cioè quella che svolge sulla roccia, non può essere regolata ed uniformata. Di conseguenza non può essere oggetto di competizione regolare. E le diatribe ancora esistenti sul famoso "grado" sostanzialmente lo dimostrano.
Ora, il problema risiede semplicemente nel fatto che essendosi allargata la base di questo sport che sta vivendo un periodo di popolarità senza precedenti, da una parte i proprietari del terreno sul quale sorgono le falesie hanno cominciato a chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze legali legate al fatto che qualcuno potrebbe farsi male sul terrebo di loro proprietà; dall'altra parte invece abbiamo la popolazione arrampicatoria che essendo fortemente cresciuta ha per forza di cose acquisito un impatto maggiore sul territorio. Non è un discorso del "si stava meglio quando eranl in pochi", è un discorso puramente matematico legato al fatto che 10 persone sporcano, inquinano e danneggiano 10 volte tanto quanto lo farebbe una persona.
In più possiamo aggiungere il fatto che ormai esistono tantissimi individui che si sono avvicinati a questo sport senza comprenderne i principi né, e soprattutto, comprendere a fondo la competenza tecnica necessaria per praticarlo in sicurezza, quindi commettono errori che hanno conseguenza anche gravi e poi chiaramente (provenendo dalla cultura di una società che ha bisogno di una over-normazione) si denunciano a vicenda o denunciano chicchessia.
Tutti questi interrogativi esposti sopra se li pongono anche le amministrazioni pubbliche, quelli riguardo la grande zona grigia che è stata scoperta.
La grande zona grigia dell'attribuzione di responsabilità.
Ebbene, questo è un problema endemico della situazione che si è creata legata all'aumento della popolazione arrampicatoria che sta conoscendo un'impennata, del quale si erano già avvertite le avvisaglie nelle lunghissime polemiche tra le varie associazioni (vedi guide alpine, cai, e chi più ne ha più ne metta), che invece di cercare di guidare una transizione razionale che rispettasse i principi della disciplina per mitigare questi grandi problemi hanno sempre privilegiato il contendersi l'esclusiva di un qualcosa che la parola esclusiva dovrebbe abolirla dal vocabolario.
Ma ahimè, anche questa disciplina è popolata da uomini, e gli uomini sono per loro natura egoisti.
E quindi siamo arrivati a questo, scalatori contro amministrazione.

Gio, 02/18/2021 - 10:37

Commenta

Testo semplice

  • Nessun tag HTML consentito.
  • Linee e paragrafi vanno a capo automaticamente.
  • Indirizzi web ed indirizzi e-mail diventano automaticamente dei link.